I napoletani hanno sempre avuto una forte predilezione per i frutti di mare e per le sue numerose produzioni ittiche, cucinate in vari modi; lì dove si è sviluppata la tradizione della conservazione del pesce in salamoia e di salse a base di pesce come il garum, descritte dal gastronomo Apicio nel suo De re coquinaria[1] .

Vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., Apicio è descritto dagli autori antichi come amante dello sfarzo e del lusso e costituisce la principale fonte sulla cucina romana, che ancora riemerge nelle ricette napoletane (zucchini alla scapece, cioè ad usum Apicii) e nella «colatura di alici» prodotta a Cetara[2], un fiorente centro peschereccio che deve il suo nome alle antiche vasche, cetaria, in cui si praticava la salagione delle alici, attività effettuata ancora oggi.

Qui fin dall’antichità si era sviluppata l’«arte del salzume», o salagione del pescato, esportato in epoca moderna nella vicina Salerno, specie nel periodo della fiera di San Matteo, a fine settembre, ed in altri luoghi, dagli stessi commercianti di pesce salato che possedevano le barche da pesca ed impiegavano capitali in tale attività[3].

Napoli è stata fondata dai greci soprattutto per la pescosità del suo golfo, cantata nelle Ecloghe piscatorie dal poeta Jacopo Sannazaro[4]. Il poeta descrive una serie variegata di prodotti ittici, cozze ed ostriche a Castel dell’Ovo, ostriche a Mergellina e Miseno, ricci a Mergellina e Nisida, prodotti nel Golfo di Napoli, una città che gli appariva “come un incantato giardino in riva al mare, dove i marinai si dissetavano alle fonti ed i contadini alternavano le reti all’aratro”.

Uno dei luoghi più frequentati dagli amanti delle produzioni ittiche era Santa Lucia, il quartiere dei “luciani”, dove, alla «pietra del pesce», si svolgeva un ricco mercato. Nel quartiere vivevano numerose famiglie di pescatori, spesso abili sommozzatori, che praticavano la pesca di polpi e cefali nelle acque di Castel dell’Ovo con le barchette su cui era montata la lampara e con il «lanzaturo», la fiocina[5].

Il locus amoenus per la degustazione dei prodotti ittici era sempre Santa Lucia. Nella sua Guida del 1826, Giovan Battista De Ferrari descriveva il borgo come «luogo notabilissimo, tanto per la sua deliziosa posizione sul golfo, … quanto perché nell’estate vi concorrono di sera e di notte … e lungo la … spiaggia si sogliono ergere di dopo pranzo molte botteghe di legno nelle quali si vendono frutti di mare, e pesce squisito[6]».

Nell’Ottocento si dette particolare attenzione alle prelibatezze culinarie, descritte nei particolari da Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino, cuoco e letterato, che per le sue ricette usava solo pesce di mare, non quello di acqua dolce, tranne anguille e capitoni che, secondo la tradizione, si consumavano e si consumano ancora oggi, alla vigilia di Natale. Egli consigliava molte ricette per il baccalà, ignorando accuratamente il polipo, che considerava “cibo popolare da consumare per strada”, e proponeva particolari menù da pranzo per i giorni della quaresima.

Una descrizione ancora più dettagliata di questo luogo brulicante di vita, in cui veniva venduta ogni sorta di prodotto ittico, è nella Guida di Erasmo Pistolesi del 1845:

 

sopra uno spazio di circa trecento passi stanno esposte

delle picciole tavole e su quelle le ostriche e i frutti di mare,

che tanto abbondano su questa spiaggia,

e quei bellissimi testacei sono artificiosamente posti

entro cestelli piani, decorati di musco marino.

Le ostriche del Fusaro stanno dentro secchi pieni di acqua di mare,

e fra tanti testacei deesi onorare il cannolicchio, genere il più venduto,

il tartufo dal guscio bianco, il vongolo dalle valvole rosse,

la patella reale dal guscio madreperla, la spuma marina e l’ostrica rossa.

La fiera testacea è riparata verso il mare da una tela

su cui è scritto il numero e il nome di ogni venditore,

e a ogni banco è sospesa una lanterna, cosicché la molteplicità

produce quasi un aspetto di permanente luminaria[7].

 

 

La cucina napoletana è il prodotto di tradizioni gastronomiche greche, romane e delle successive dominazioni, francese e spagnola, che hanno interessato la città.

Nasce come cucina povera, affiancata da una gastronomia più elaborata della classe aristocratica, nei secoli si è evoluta combinando tradizioni popolari e nobili, in cui i prodotti del mare sono sempre stati protagonisti.

  • I prodotti del mare

Il pesce è un alimento estremamente importante nell’alimentazione dell’uomo ed è caratterizzato da un rilevante valore nutritivo con una componente di acqua che oscilla tra i 60 e gli 80 gr ogni 100 gr ed un contenuto proteico, di elevata digeribilità, che varia a seconda della specie da 15 a 23 gr per 100 gr.

I prodotti ittici possiedono un elevato valore nutrizionale ed una composizione di grassi ricca di composti insaturi tra cui viene data particolare importanza agli ω-3: numerose ricerche hanno evidenziato la loro capacità di abbassare i livelli di colesterolo e di trigliceridi migliorando la fluidità del sangue e contribuendo così alla prevenzione di patologie gravi come quelle cardiovascolari.

Sono presenti in buona quantità nelle diverse specie ittiche anche vitamine del gruppo B (B1, B2, B12), vitamina A, D, E e sostanze minerali come il selenio, elemento essenziale per l’attività di enzimi che proteggono le cellule dai danni dell’invecchiamento; lo iodio, parte di alcune molecole come gli ormoni della tiroide che hanno un ruolo importante nel processo della crescita; il ferro, componente essenziale dei globuli rossi; lo zinco, componente di enzimi coinvolti in numerose reazioni biologiche dell’organismo.

La carne dei molluschi, come cozze, vongole, ostriche, polpi, seppie, calamari e dei crostacei, come gamberi, aragoste, granchi, ha una composizione simile a quella del pesce magro, con un contenuto molto basso di grassi, proteine ad alto valore biologico e ricchezza di elementi minerali.

Nei crostacei è presente un contenuto in colesterolo più elevato che nei molluschi e nei pesci; i gamberi ne possono contenere da 95 a 180 mg per 100 gr di parte edibile.

Negli ultimi anni ha attirato molta attenzione la correlazione tra modelli di dieta e insorgenza di differenti malattie croniche (Trichopoulou et al., 2005[8]); dai risultati è emerso che la dieta mediterranea ha un effetto benefico sulla salute e raccomanda un consumo di pesce da livelli moderati ad alti, in quanto alimento ricco di grassi insaturi.

Anche le direttive di società scientifiche internazionali, come l’American Cancer Society suggeriscono un corretto comportamento alimentare finalizzato ad un’azione preventiva per patologie gravi e una diminuzione del consumo di grassi saturi e del colesterolo, un aumento dell’assunzione degli ω-3, suggerendo di sostituire le carni rosse con il pesce.

È stato dimostrato che la dieta mediterranea e la ripresa di alcune delle nostre tradizioni alimentari possono ridurre il rischio di metastasi e recidive tumorali fino al 25% in 3-5 anni ed in particolare, da oltre 15 anni, si conducono studi per dimostrare quali stili alimentari riducano il quadro ormonale di rischio per i tumori della mammella (Progetto Diana 5 https://www.google.com/url?q=https://www.dianaweb.org/progetto&sa=D&source=docs&ust=1686124813041895&usg=AOvVaw3SlKuqto44CI-PGHsFfOHt).

 

  • Tracciabilità alimentare, salute e sostenibilità

La tracciabilità alimentare ha un ruolo chiave nella garanzia della qualità e nella genuinità dei prodotti che consumiamo e risulta essenziale controllare l’ambiente da cui i cibi provengono e le modalità di allevamento delle specie.

La misura 5.68 del progetto ISSPA propone il miglioramento del sistema in uso di tracciabilità dei prodotti della pesca, in particolare per il settore della molluschicoltura, che risulta essere il più strutturato nel panorama campano, e degli standard di qualità delle produzioni.

L’obiettivo è incrementare il valore aggiunto dei prodotti della mitilicoltura campana attraverso l’elaborazione di un modello di gestione sistemica della produzione a partire dalla semina del prodotto, per passare alla raccolta, alla stabulazione, al confezionamento e infine alla distribuzione; ulteriore finalità della misura è lo sviluppo di un marchio QR-Code specifico per le produzioni al fine di facilitare la tracciabilità dei prodotti acquistati utilizzando il proprio smartphone.

Lo studio delle strategie di incremento del valore aggiunto delle produzioni di mitili campani è parte integrante delle azioni, focalizzate sulla commercializzazione attraverso l’elaborazione di nuovi prodotti trasformati “ready to use” e lo sviluppo di packaging innovativi.

Per rendere applicabili i risultati delle ricerche è fondamentale la partecipazione degli stakeholder: l’assistenza agli operatori del settore nell’implementazione dei sistemi di certificazione, per accrescere la qualità e la sostenibilità delle produzioni, e l’impatto dei prodotti sul mercato è un aspetto cruciale così come il coinvolgimento del grande pubblico, indispensabile per far comprendere il legame tra comportamenti alimentari e le loro conseguenze in termini ambientali.

I consumatori devono essere informati per poter operare scelte sostenibili: conoscere i dettagli di come e dove vengano raccolti o allevati i prodotti del mare, fattori di grande impatto sulla salute degli oceani, è un aspetto fondamentale per proteggere questi ambienti e per garantire una fornitura di seafood a lungo termine.

Per operare scelte corrette occorre conoscenza!

L’aumento della consapevolezza dei consumatori sui prodotti ittici sostenibili incide inoltre sulle scelte degli operatori del settore che in questo modo sono disposti ad investire nel cambiamento degli attrezzi da pesca e nel potenziamento delle infrastrutture poichè hanno certezza dell’esistenza di un buon mercato per questi prodotti certificati, con ricadute positive sulla trasparenza di tutto il settore.

La tracciabilità è infatti importante per garantire la sicurezza alimentare ma anche per contrastare il fenomeno della pesca illegale.

… ma cosa si intende per seafood sostenibile?

Le fondamenta del concetto di sostenibilità sono tre: protezione dell’ambiente, responsabilità sociale e sostenibilità economica, componenti importanti per garantire che la pesca e l’acquacoltura da cui dipendiamo per cibo e sussistenza economica, prosperino nel futuro.

Nel termine “sostenibilità” sono racchiusi la protezione di specie selvatiche, degli habitat costieri, la garanzia di condizioni di lavoro sicure per gli operatori del settore a sostegno di attività redditizie: seafood sostenibile è quello che viene raccolto o allevato in modo da non danneggiare l’ambiente o altre specie, contribuendo a garantire ecosistemi marini sani e resilienti nel tempo.

Per i prodotti pescati o raccolti in mare ciò significa che le popolazioni sono gestite correttamente e non sovrasfruttate e che gli attrezzi da pesca hanno un impatto minimo sugli habitat e su altri animali selvatici; anche l’acquacoltura basata su “buone pratiche”, come il trattamento corretto delle acque reflue, l’uso di mangimi sostenibili, la riduzione degli antibiotici, consente di allevare pesci e frutti di mare riducendo al minimo l’impatto sull’ambiente.

 

  • Le stagioni del mare in cucina

Uno dei parametri per la scelta migliore per i prodotti ittici freschi è la stagionalità che, così come per la frutta e la verdura, varia a seconda del ciclo vitale e della fase riproduttiva di ogni specie.

I vantaggi sono molteplici: le varietà di specie di stagione hanno solitamente un costo più basso rispetto a quelle che devono sostenere costi di importazione, il loro acquisto garantisce il rispetto dei cicli riproduttivi e ciò significa contribuire a operare scelte responsabili e sostenibile per l’ambiente.

[1] M.G. Apicius, De re coquinaria, edizione critica, traduzione italiana e note a cura di A. Marsili, Pisa, Cursi, 1957.

[2] E. Falcone, L’eredità del garum, in Guida gastronomica di Cetara. Colatura di alici e tonno, a cura di L. Pignataro, Cava de’ Tirreni (Salerno), Edizioni dell’Ippogrifo, 2005, pp. 22- 23. Cfr. anche C. Pandolfi, Garum, Ogliastro Cilento, Licosia ed., 2016.

[3] S. Ferraro, A proposito della pesca dei Cetaresi, in A. Leone, Appunti per la storia di Cava, Cava de’ Tirreni, Avagliano ed., 1986, pp. 55-57.

[4] J. Sannazaro, Le ecloghe piscatorie, a cura di S.M. Martini, Salerno, Elea Press, 1995.

[5] L. Coppola, Santa Lucia, in De Bourcard, Usi e costumi di Napoli e contorni, II, pp. 477-501.

[6] G.B. de Ferrari, Nuova guida di Napoli compilata sulla Guida del Vasi, Napoli, Tipograa di Porcelli, 1826.

[7] E. Pistolesi, Guida metodica di Napoli e suoi contorni, Napoli, Giuseppe Vara, 1845, pp. 238ss

[8]Trichopoulou et al. (2005) Modified Mediterranean diet and survival: EPIC-elderly prospective cohort study; BMJ 330:991.